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Aprire una società in Inghilterra e lavorare in Italia - Ltd24ore Aprire una società in Inghilterra e lavorare in Italia – Ltd24ore

Aprire una società in Inghilterra e lavorare in Italia

20 Maggio, 2021

Aprire una società in Inghilterra e lavorare in Italia non è un’utopia.

Internet e le tecnologie digitali permettono di gestire un’impresa completamente da remoto.

Tuttavia, non tutti gli imprenditori possono costituire una società ltd in Inghilterra, operando online dall’Italia, senza incorrere in fenonemi di doppia tassazione.

Vanno valutate, caso per caso, le caratteristiche del business.

Ciò nonostante, cercherò di tracciare in modo chiaro e definitivo i confini tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, soprattutto con riferimento alla possibilità di aprire una ltd in Inghilterra e operare in Italia.

Le indicazioni che trovi in questa guida sono il frutto dei miei studi e della mia esperienza professionale.

Spero invece di fornirti validi consigli e indicarti l’esatta normativa da osservare per internazionalizzare il tuo business digitale, senza correre rischi.

In questo caso, desidero spiegarti qual è la strada legale per aprire una società in Inghilterra e operare in Italia, senza rischiare sanzioni a causa di un eventuale accusa di esterovestizione e/o stabile organizzazione occulta.

Perché mi rivolgo soprattutto ai business digitali?

Propongo un focus specifico sui business digitali, perché sono quelli che hanno maggiori margini di manovra e flessibilità per localizzare la propria attività in qualsiasi parte del mondo.

Procediamo con ordine…

Aprire società in Inghilterra e lavorare in Italia: business digitale

Un imprenditore della digital economy può aprire la sua impresa in Inghilterra e gestirla da qualsiasi parte del globo.

Le imprese digitali sono essenzialmente business liquidi, con pochissimi asset, beni strumentali e, se vendono prodotti fisici, con una gestione del magazzino spesso esternalizzata (esempio: Amazon fba).

Per aprire una società in Inghilterra non è necessario essere residenti nel Regno Unito.

La procedura è completamente telematizzata e ha costi bassissimi.

In considerazione di una burocrazia snella, di una bassa pressione fiscale e di costi di gestione irrisori, anche dopo la Brexit, tante startup continuano a costituire il loro assetto societario in Inghilterra, operando spesso da remoto.

Ti starai chiedendo se tutto ciò è legale o illegale.

In altre parole, quali sono i limiti legali per aprire una società in Inghilterra e operare dall’Italia o da qualsiasi altra parte del mondo?

Provo a rispondere a questa domanda, raccontandoti un aneddoto di fantasia che s’ispira ad eventi tratti dalla mia esperienza professionale.

L’episodio non riguarda propriamente una società inglese, bensì un’impresa bulgara (esterovestita).

Nel Settembre 2015, nel corso di un’ispezione fiscale ad una Società per Azioni che un gestisce una serie di ristoranti sul territorio italiano, gli ispettori fiscali individuano diverse fatture di acquisto di un servizio di manodopera per la produzione di prodotti alimentari.

Ebbene, le fatture in questione riportano l’indicazione di una ditta bulgara, che non aveva dichiarato alcuna stabile organizzazione in Italia.

Dopo aver effettuato alcuni pedinamenti e verifiche attraverso internet e banche dati, i funzionari tributari hanno appurato che la società aveva un magazzino in Italia, non dichiarato al Fisco, da cui partivano i corrieri per la consegna dei prodotti alimentari finiti.

Fin qui nulla di grave.

Il magazzino non è una stabile organizzazione.

In altre parole, un magazzino non costituisce un livello di presenza sufficiente affinché uno Stato possa imporre il pagamento delle imposte ad un’impresa estera.

Tuttavia, approfondendo i controlli su quel che sembrava un magazzino, i funzionari tributari hanno scoperto che in realtà non si trattava di un luogo utilizzato esclusivamente per stoccare merci, bensì di un vero e proprio laboratorio di produzione alimentare.

Nel capannone aziendale vi erano una decina dipendenti, macchinari industriali, muletti, computer in cui vi era la contabilità societaria e un ufficio amministrativo.

Nulla di tutto ciò risultava essere stato dichiarato al Fisco.

Si trattava di un palese caso di esterovestizione: una società che localizza la sua sede fittiziamente all’estero per pagare meno tasse.

Non solo…

Si trattava altresì di un palese caso di stabile organizzazione occulta: uffici amministrativi e laboratorio industriale non dichiarati.

Aprire società all’estero e lavorare in Italia, il caso dei business digitali

Adesso prendiamo il medesimo esempio e trasliamolo nel settore dei business digitali.

Un business digitale è un business liquido, con pochissimi costi fissi, senza asset e macchinari, laboratori e talvolta anche senza uffici stabili.

Se lo sviluppatore di software Mario Rossi costituisce la sua società in Inghilterra e lavora in Italia…

Può dirsi davvero che anche in questo caso c’è esterovestizione?

In realtà non posso asserire che aprire una società in Inghilterra e lavorare in Italia esclude l’esterovestizione, ma le norme sulla residenza delle società vanno valutate caso per caso e con minor temperamento con riferimento ai business digitali.

Ora direi che è giunto il momento di dare uno sguardo più approfondito alla normativa sull’esterovestizione.

Colgo inoltre l’occasione di smontare una serie di bufale che circolano in rete sull’esterovestizione.

Esterovestizione: normativa e rischi penali

Abbiamo visto che uno dei possibili rischi di aprire una ltd in Inghilterra e lavorare in Italia, in Spagna, Francia o Germania… sia l’esterovestizione.

Cosa vuol dire esterovestizione e cosa comporta un’accusa di esterovestizione?

L’esterovestizione è quel fenomeno che consiste nella fittizia localizzazione all’estero di una società, al fine di ottenere un vantaggio fiscale.

Attenzione:

Tantissimi credono che l’esterovestizione sia un reato.

Niente affatto!

Non esiste il reato di esterovestizione.

L’esterovestizione è un fenomeno, da cui, in determinati casi, possono derivare conseguenze amministrative e, solo nel caso in cui l’utile della società sia superiore ad euro 208.333,33, anche penali.

Il reato che si perpetra con l’esterovestizione è quello di omessa dichiarazione dei redditi (o iva).

Esempio:

Sono titolare di un business (non liquido) e provvedo ad aprire una società in Inghilterra e ad operare in Italia, conseguendo un utile superiore ad euro 208.333,33, che non dichiaro al Fisco italiano, commetto il reato di omessa dichiarazione dei redditi.

Da cosa deriva questa soglia di euro 208.333,33?

Basta fare un semplice calcolo…

Calcolo dell’imposta evasa

Il reato di omessa dichiarazione si configura quando un’impresa omette di dichiarare redditi e l’imposta evasa sia superiore ad euro 50.0000.

Per avere un’imposta evasa superiore ad euro 50.000, l’utile societario (ricavi – costi) dev’essere superiore ad euro 208.333,33, poiché l’aliquota Ires attuale è al 24% (50.000 = 24% * 208.333,33).

Tutto chiaro per ora?

Probabilmente, ti starai chiedendo qual è l’articolo del codice penale che prevede il reato di omessa dichiarazione dei redditi.

In realtà il reato non è previsto dal Codice Penale, bensì da una legge speciale, vale a dire, l’art. 5 del d.lgs. n. 74/2000.

Ecco cosa statuisce:

Art. 5.  Omessa dichiarazione (4) 

  1. E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila”.

Oltre alle sanzioni penali, verifichiamo sotto il profilo pratico cosa comporta l’esterovestizione.

Le conseguenze amministrative dell’esterovestizione

Dopo aver visto le conseguenze penali dell’esterovestizione, direi di dare uno sguardo a cosa comporta sul piano amministrativo un’accusa di esterovestizione.
Prendendo nuovamente in considerazione l’ipotesi di aprire una società in inghilterra e operarare dall’Italia, ecco quali conseguenze comporta l’esterovestizione.
Quando una società estera è considerata esterovestita dal Fisco italiano, la stessa sarà destinataria di un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, con cui verrà richiesto il pagamento delle imposte italiane.
Quali sono le imposte da pagare allo Stato italiano?
In primo luogo, le Imposte sui Redditi sulle società, quindi, l’IRES da determinare applicando l’aliquota al 24% sull’utile.
Attenzione: non è un dato scontato che una società esterovestita produca utile, ben potendo la stessa essere anche in un situazione economico-finanziaria di pareggio o perdita.
In secondo luogo è dovuta l’IVA sulle vendite.
Non sempre però!
Con riferimento agli e-commerce e ai business digitali con vendita a distanza di beni fisici attraverso internet, ad esempio, esiste già una normativa in materia di IVA che impone il pagamento dell’Imposta sul Valore Aggiunto direttamente nel Paese in cui si vende.
D’altro canto, per quanto riguarda la vendita di software o altri prodotti digitali, si applica il MOSS (Mini One Sto Shop), che prevede l’assolvimento dell’IVA nel Paese in cui si vende, vale a dire, laddove sono localizzati i consumatori finali.

La doppia tassazione come conseguenza dell’esterovestizione: falso!

Tantissimi credono che una conseguenza dell’esterovestizione sia la doppia tassazione. Questa asserzione è spudoratamente falsa.
Torniamo all’ipotesi di costituire una società in Inghilterra e lavorare in Italia.
Ebbene, qualora la mia società sia tacciata di esterovestizione in Italia, dovrò pagare le tasse allo Stato italiano e allo Stato inglese, ma posso chiedere l’applicazione della Convenzione contro le doppie imposizioni Italia – Regno Unito, per evitare la doppia tassazione.
Cos’è una Convenzione contro le doppie imposizioni?
Le Convenzioni c.d.i. sono accordi fiscali che stipulano gli Stati al fine di regolare i loro rapporti fiscali e, quindi, ad esempio, al fine di determinare se un’impresa deve pagare le imposte in Italia o allo Stato estero.
A questo punto c’è da chiedersi:
Qual è il criterio principale che le Convenzioni assumono come riferimento per determinare se la mia società deve pagare le imposte in Italia o allo Stato ingese?
Tale criterio è il luogo in cui è ubicata la sede di direzione effettiva dell’impresa.
Pertanto, nell’ipotesi di aprire un’impresa in Inghilterra e operare dall’Italia, le tasse saranno dovute nel Paese in cui è localizzata la sede di direzione effettiva (c.d. place of effective management).
Ti mostrerò cosa s’intende per sede di direzione effettiva nel prosieguo di questa guida.
Per il momento, è sufficiente sapere che un’impresa, anche se svolge parte delle sue funzioni attraverso filiali dislocate in diverse parti del mondo, avrà una sola sede di direzione effettiva, e conseguentemente, la Casa Madre pagherà le imposte in un solo Stato (ammessa l’esistenza di Convenzioni contro le doppie imposizioni).

L’accusa di esterovestizione è automatica: falso

Erroneamente si crede che costituire una società estera con la maggioranza di soci e/o amministratori residenti in Italia, comporti automaticamente l’accusa di esterovestizione.
Questa è una vera e propria bufala.
Si può costituire una società dove meglio si crede e per tantissime ragioni diverse, non solo per motivi fiscali, ma anche per motivi legati alla velocità e leggerezza della macchina burocratica di un determinato Paese.
Se un soggetto provvede a costituire una società in Inghilterra, non lo farà certo per motivi essenzialmente fiscali (altrimenti potrebbe optare per un paradiso fiscale).
In realtà, chi localizza un’impresa in Inghilterra lo fa soprattutto per avere bassi costi gestione, evitare oneri notarili e burocratici, ricercare investitori, acquisire un’immagine internazionale e sfruttare i trattati commerciali stipulati dal Regno Unito con altri Paesi.
In questo caso non si può affatto parlare di esterovestizione.
La Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che per esterovestizione si intende la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero, in particolare in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale, allo scopo di sottrarsi regime fiscale italiano (cfr. Cass. n. 2869/2013).
Quindi, dovrebbe escludersi l’esterovestizione nell’ipotesi in cui si costituisce una società in Inghilterra per motivi ben diversi da una mera convenienza fiscale.
Tra l’altro, accertare che una società sia di fatto esterovestita, non è un procedimento automatico, ma richiede un accertamento sostanziale.
In altre parole, è il Fisco che deve dimostrare che un soggetto italiano ha stabilito fittiziamente la sua impresa all’estero per ottenere maggiori vantaggi fiscali.
L’onere probatorio grava interamente sul Fisco.
E sulla base della mia esperienza posso rivelarti che, per reperire tali prove, non è sufficiente effettuare una ricerca su internet, sui social network o sulle banche dati, ma è necessario un accertamento sul posto, presso gli uffici aziendali in Italia, così come nell’esempio della società bulgara esterovestita.

Aprire una ltd e lavorare in Italia è esterovestizione?

Tornando all’esempio della società in Inghilterra o in Bulgaria…

Se sono titolare di un business non digitale, ma di un’impresa con asset, beni strumentali e macchinari sul territorio italiano, e provvedo a costituire una società ltd in Inghilterra e a lavorare in Italia, ho maggiori probabilità di subire un procedimento penale per omessa dichiarazione?

La risposta dipende da cosa s’intende per “lavorare”.

In realtà, per capire se un’impresa sia stata localizzata solo fittiziamente all’estero per conseguire un vantaggio fiscale, si fa riferimento a diversi criteri.

Questi criteri sono quelli utilizzati per determinare la residenza fiscale di un’impresa.

Determinare la residenza fiscale di un’impresa estera

Il Testo Unico delle Imposte sui Redditi stabilisce che un’impresa è residente in Italia, se ha almeno uno di questi elementi di collegamento col territorio italiano:

  • la sede legale;

  • l’oggetto dell’attività;

  • la sede amministrativa.

Di conseguenza, tornando all’esempio UK, se provvedo ad aprire una società in Inghilterra e ad operare in Italia, posso escludere l’esterovestizione solo se in territorio italiano non ho:

  • la sede legale della società inglese;

  • l’oggetto dell’attività societaria;

  • la sede amministrativa della società UK.

IL CRITERIO DELLA SEDE LEGALE

Ebbene, nel caso in cui un soggetto provveda a costituire una società in Inghilterra, la sede legale dell’impresa sarà ubicata giocoforza nel territorio del Regno Unito.

Senza una sede legale inglese, infatti, non è possibile costituire una società ltd in UK.

A questo punto direi di passare direttamente alla disamina del secondo criterio: l’oggetto dell’attività.

IL CRITERIO DELL’OGGETTO DELL’ATTIVITÀ

La domanda da porsi è:

se provvedo ad aprire una società in Inghilterra e a lavorare in Italia, l’oggetto dell’attività societaria sarà localizzato in Italia?

Per oggetto dell’attività s’intende l’attività esercitata in concreto dall’impresa, desunta dall’insieme dei suoi asset, beni strumentali, personale dipendente, macchinari, capannoni, uffici ecc..

Se il complesso di questi beni sono ubicati principalmente in territorio italiano, inevitabilmente, l’oggetto della mia attività sarà localizzato in Italia.

Conseguentemente l’impresa inglese sarà assoggetta alla tassazione italiana.

Ma analizziamo anche la situazione inversa:

Se i beni di un’impresa UK fossero ubicati tutti in Inghilterra e l’attività che l’imprenditore svolge dall’Italia sia limitata soltanto di coordinamento da remoto, sarebbe ancora possibile considerare in Italia la presenza dell’oggetto dell’attività?

Oppure, analizziamo il caso di un business digitale, i cui asset principali siano rappresentati esclusivamente da un sito web.

Nessuno in questo caso potrebbe asserire che l’oggetto dell’attività sia ubicato in Italia quanto piuttosto in Francia, Svizzera o Inghilterra.

Oltretutto, la presenza di un dominio .it, di un sito web o di un server, non sono elementi costitutivi di una stabile organizzazione in Italia.

IL CRITERIO DELLA SEDE AMMINISTRATIVA

Il concetto di sede amministrativa coincide in larga parte con quello di sede di direzione effettiva.
La sede amministrativa di un’impresa è determinata dai seguenti elementi:

  • il luogo in cui si tengono le riunioni del Consiglio di Amministrazione della società;
  • il luogo di recapito delle lettere del Consiglio di Amministrazione.

Ebbene, sembra assurdo trascurare che nel 2019 le riunioni del Consiglio di Amministrazione si tengono mediante mezzi telematici, quali le videoconferenze, in cui, ad esempio, un membro del Consiglio si connette da Hong Kong e un altro dalla Francia.
Ed è peraltro paradossale trascurare che le lettere di convocazione del Consiglio di una società sono ormai inviate via mail, così come prevedono gli statuti societari.
Questo ci fa capire che non è facilmente individuabile la sede amministrativa di un’impresa, soprattutto con riferimento ai business digitali, e che la normativa vigente è ormai superata dalla realtà dei fatti.
Gli altri elementi che segnalano la presenza di una sede amministrativa in un determinato Paese sono:

  • l’esistenza nel Paese di un conto corrente bancario;
  • l’esistenza del luogo in cui sono tenute le scritture contabili.

Eliminare il rischio di esterovestizione: il radicamento nel Paese estero

Avendo visto come la normativa in materia di residenza delle imprese sia ormai superata alla luce della digitalizzazione, direi che l’aspetto da valutare per determinare se siamo di fronte ad una società esterovestita, sia il radicamento effettivo dell’impresa nel Paese di costituzione.
L’effettivo radicamento nel Paese estero è proprio il criterio fondamentale che prende in considerazione la Corte di Cassazione per escludere l’esterovestizione.
Se oltre alla forma esiste nel Paese estero una genuina realtà economica, non c’è esterovestizione.
Anche nella famosa sentenza Dolce&Gabbana di assoluzione, emesse nel mese di dicembre 2018, ritroviamo un riflesso di questo principio.

Esterovestizione: consulenza

Se hai un business digitale o comunque un business da internazionalizzare, posso sviluppare e accompagnarti nel processo di implementazione di una strategia di pianificazione fiscale, dimezzando il tuo carico fiscale e la burocrazia in maniera legale, senza correre rischi fiscali.
Oppure, se hai il progetto di aprire la tua società in Inghilterra, ti invito a valutare la nostra offerta di costituzione societaria e gestione fiscale e contabile al seguente link.
Ti ringrazio per aver letto la seguente guida, se vuoi, puoi lasciarmi un feedback nei commenti.

2 risposte su “Aprire una società in Inghilterra e lavorare in Italia”

Ottima guida, mi complimento davvero, si vede al 100% che ha operato nel settore, però non mi sono chiari due passaggi:
– se creo una ltd ma opero in italia, in materia di legge come legge sul lavoro, legge sulla privacy, assunzioni, licenziamenti, salari, etc. etc. si fa riferimento alla sede legale, quindi le leggi inglesi, giusto?
– se io creo una ltd ma opero in italia, per le agevolazioni burocratiche e non avrei problemi a pagare le tasse in italia, dovrei pagare anche il 20% o quel che è anche delle tasse inglesi in più? Intendo, gli accordi sulle doppie tassazioni scattano in automatico appena si crea la società, o bisogna materialmente mandare una email o qualcosa in qualche ufficio inglese/italiano?
– non ho capito come si elimina il problema della sede amministrativa in caso di un business digitale, se le call e il tutto viene fatto a distanza
Guarda ti ringrazio moltissimo in anticipo in caso avrai la pazienza di chiarirmi tutto o qualcuno di questi punti!

Salve, io ed il mio team saremmo interessati ad avviare una società di sviluppo software ma in Italia ci sono costi fissi(contributi) che ci impediscono di partire con sicurezza, sarebbero costi che vorremmo anche pagare, ma è impossibile attualmente per noi senza introiti o la sicurezza di guadagno.
Pertanto vorremmo informazioni per comprendere se il nostro progetto valga la possibilità di aprire all’estero la società per eventualmente evitare quei costi fissi.
La società in questione avrebbe me come titolare(residente in Italia) ed ragazzi che lavorerebbero da remoto(sempre dall’italia) senza una sede fisica, con un sito web (intestato a mio nome)
Ringrazio per l’eventuale disponibilità

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